Le origini

Durante il primo periodo, Siena si trova all'avanguardia del movimento per la diffusione dell'uso della lingua volgare anche agli ambiti tradizionalmente riservati al latino, quali quelli della trattatistica filosofica e scientifica e della diplomazia: Alessandro Piccolomini, animatore in gioventù del cenacolo degli Infiammati di Padova, riporta in patria da quella esperienza la ferma convinzione, che applica nella sua opera di volgarizzatore di Aristotele, che "sia ben fatto di procacciar nuove parole per quei concetti che di vocaboli che esprimer gli possino sono spogliati ai tempi nostri". Sulla stessa linea Bartolomeo Carli Piccolomini, intimo amico di Aonio Paleario e coinvolto nel movimento riformato, raccomanda al Perfetto cancelliere (questo il titolo di una delle sue opere) l'uso della "lingua toscana" viva; Fabio Benvoglienti e Mino Celsi dialogano sull'ortografia del volgare moderno col Tolomei, il quale nel Cesano biasima lo "stomaco delicato" di coloro che rifiutano di usare parole non attestate in Petrarca e Boccaccio (il riferimento polemico è ovviamente il Bembo delle Prose); i giovani Fausto Sozzini e Girolamo Bargagli discutono per lettera di una "Accademia gramatica" e Marcantonio Piccolomini scrive al fratello Alessandro che "l'uso commune del parlare è il vero padre delle parole". La predilezione per l'"uso commune" decide allora non soltanto della particolare sensibilità senese per una concezione organicistica e evolutiva della lingua, ma anche del modello "toscanista" elaborato dal Tolomei sulla base del principio che "le differenze che sono tra le lingue di Toscana nel parlar loro non sono tali che debbiano fare in guisa alcuna lingua nuova".